IntroduzioneLa Campania rappresenta la prima regione del Meridione da un punto di vista vitivinicolo: scendendo da Nord verso Sud infatti comincia a diradarsi, fino quasi a scomparire, la presenza del
Sangiovese che monopolizza invece gli uvaggi dell'Italia Centrale e che vede unicamente nel Solopaca, lungo la parte finale del fiume Calore in provincia di Benevento, l'ultima Doc in cui il
Sangiovese e il
Trebbiano prevalgono negli uvaggi rispetto agli altri vitigni.
Contemporaneamente comincia a manifestarsi la presenza dell'
Aglianico e del
Primitivo, i vitigni rossi di maggiore qualità presenti nei vigneti dell'Italia Meridionale oltre ai bianchi
Fiano e
Falanghina.
Da un punto di vista qualitativo la Campania negli ultimi anni è riuscita a colmare in gran parte il divario che la separava dalle altre regioni, divario inteso nel senso di presenza di produttori in grado di emergere dalla banalità qualitativa delle DOC: se fino agli anni '90 soltanto l'azienda Mastroberardino riusciva a produrre vini che emergevano a livello nazionale, oggi sono numerosi i produttori che hanno saputo confrontarsi con le nuove aspettative del mercato e con le esperienze più dinamiche già in atto in altre regioni e che forti di questo connubio producono etichette di assoluto valore nazionale.
Il successo di queste etichette ha gettato un ponte ideale con il passato vitivinicolo altrettanto famoso di questa regione, giustamente chiamata Campania Felix poiché tutte le coltivazioni prosperavano sui suoi terreni vulcanici, in particolare quelle delle piante da frutto, a cui si ascrive anche la vite: oggi le migliori etichette vengono espresse nelle stesse zone celebrate nell'antichità da Romani e dai Greci ma le attuali maggiori conoscenze agronomiche e di vinificazione consentono di esprimere vini di qualità anche nell'entroterra appenninico di Benevento e Avellino.
Ecco quindi che accanto al Falerno, prediletto da Romani, prodotto nella zona di Mondragone, ai vini di Greco e quelli di Ischia e Capri, eccellenti etichette provengono anche dai territori dell'entroterra appenninico, in molti casi caratterizzati da un migliore equilibrio e finezza, grazie ad a un clima notturno più fresco che riesce a mantenere gli aromi primari dell'uva e a sviluppare un mai eccessivo grado alcolico.
Clima e territorio
Il clima è di tipo mediterraneo, con un fronte marino così esteso da determinare sulle zone litoranee e in quelli subito adiacenti dell'interno, degli inverni particolarmente miti. All'interno la catena appenninica determina invece degli inverni molto più rigidi e in estate della maggiori escursioni termiche tra il giorno e la notte.
Il territorio risente fortemente della sua antica origine vulcanica e di attività bradisimica ancora fortemente attiva: si è così determinato un terreno estremamente fertile ma allo stesso tempo molto soffice e quindi soggetto a dilavamenti e frane.
Altra peculiarità della Campania è il suo territorio di origine vulcanica, che marca in modo forte la sua produzione vitivinicola: tali terreni, infatti, sono estremamente ricchi di potassio, che rappresenta il principale precursore degli zuccheri e pertanto tutti i vini sviluppano una spiccata personalità alcolica.
Caratteristiche ampelograficheNel panorama nazionale la Campania si connota rispetto alle altre per la grande varietà di vitigni autoctoni, caratteristica che la fa assomigliare ad un un'altra regione, la Valle d'Aosta, però completamente diversa da un punto vista climatico e di vitigni presenti.
Questa varietà deriva dalla collocazione in alta collina di numerosi vigneti, la cui altitudine è stata una forte antagonista della fillossera che non riesce a vivere oltre determinate altezze, caratteristica che spiega come mai anche la Valle d'Aosta possieda la sua varietà.
Altro elemento antagonista della fillossera è stato il sottosuolo sabbioso, su cui sono collocati i vigneti dei territori a ridosso delle coste: anche la sabbia, infatti, inibisce l'azione della fillossera.
Altro elemento peculiare della Campania è la viticultura estrema praticata nell'isola d'Ischia, dove, sulle pendici dell'Epomeo, l'uomo nei secoli ha strappato lembi di terreno coltivabile su cui collocare la vite e che dà vita ad un paesaggio di grande suggestione, analogo in Italia a quello della Valtellina, della Valle d'Aosta e delle Cinqueterre in Liguria.
I principali vitigniTra le varietà autoctone campane che riescono ad esprimere i vini di maggiore livello qualitativo vanno citate il
Piedirosso, la
Falanghina, la
Coda di Volpe, il
Fiano e il
Greco.
Il
Piedirosso è un vitigno a bacca rossa che deve il suo nome ai suoi "piedi rossi" ovvero ai suoi raspi che, nella fase di avanzata maturazione dei grappoli, assumono un caratteristico coloro rosso (in dialetto viene chiamato Pèr ‘e Palummo, cioè "piede del palombo", che si chiama così per via del terminale del raspo simile alla zampa del piccione). E' un vitigno da sempre utilizzato negli uvaggi ma vinificato da solo ha dimostrato di poter produrre vini dalla spiccata personalità gusto-olfattiva, offrendo ottimi risultati anche in surmaturazione.
La
Falanghina è un vitigno a bacca bianca di origine greca. La sua maturazione tardiva consente ai produttori di modulare a proprio piacimento il periodo della raccolta, spesso in epoca di surmaturazione, in modo da ottenere profili di acidità e alcool coerenti con la propria idea di piacevolezza dei prodotti. E' a questo che si deve l'enorme differenza qualitativa delle numerose etichette presenti oggi sul mercato nonché ad un enorme successo di vendite che ha spinto i produttori ad aumentare le rese e a produrre dei vini di basso spessore qualitativo.
La
Coda di Volpe, chiamata anche Pallagrello o Coda di Pecora, deve il suo nome alla forma del grappolo, che ricorda la coda delle volpi. I vini che ne derivano sono spesso soltanto banalmente acidi, senza particolari profumi e persistenze gustative ma le vinificazioni di alcune aziende sono riuscite a dimostrare come una politica di basse rese in vigna riesca a produrre vini dalla buona struttura e dagli intensi profumi.
Il
Fiano deriva il suo nome da quello romano Vitis apiana, che stava ad indicare come fosse gradito alle api per la dolcezza dei suoi acini. Si tratta di una varietà a maturazione tardiva, coltivata per la sua qualità, anche in comprensori diversi da quelli campani, soprattutto in Puglia nella zona di Gravina.
Il
Greco è una varietà a bacca bianca presente soprattutto nella provincia di Avellino. La sua polpa è di gusto neutro ma il suo grappolo di piccole dimensioni consente di praticare con successo una viticoltura di basse rese, permettendo di concentrarne la personalità che si esplica su toni di grande finezza olfattiva e gustativa.
L'
Aglianico è una derivazione di Ellenico, un'uva, quindi, che nel nome indica la sua origine greca. Di maturazione tardiva, dà vita a vini dalla robusta spalla tannica e dall'alto contenuto di estratto, due elementi fondamentali per la produzione di vini di qualità e che spiegano l'interesse nei suoi confronti da parte dei produttori più ambiziosi. Diffusa in tutto il meridione fino al Monte Pollino, fino ad oggi ha espresso i migliori prodotti sui terreni vulcanici del Taburno, di Taurasi e del Vulture in Basilicata.
Merita la menzione anche l'
Asprinio, introdotto in Campania dagli Etruschi nei cui vigneti prevale ancora la tipica alberata aversana, reminiscenza degli impianti etruschi nei quali le viti venivano maritate con i pioppi. Si tratta di una varietà dalla spiccatissima acidità, spesso utilizzata per la produzione di aceto, che dà vita a vini dal gusto citrino quanto mai originali. Se tutti concordano con la sua originalità del gusto, non tutti sono d'accordo sulla sua piacevolezza tant'è che le vinificazioni prodotte nella direzione del miglioramento della sua produzione fino ad oggi troppo disordinata e poco attenta, hanno dato vita a prodotti più morbidi e quindi meno tipici che no hanno incontrato l'unanime riscontro del pubblico. Quale sarà il futuro dello stile di vinificazione di questo vitigno non è quindi ancora dato a sapersi.
Le zone vitivinicoleIn provincia di Caserta la zona produttiva di maggiore interesse è quella delle colline di Mondragone e Sessa Aurunca, dove alcuni produttori hanno ridato lustro al Falerno, uno dei vini più celebrati nell'Antica Roma. Il disciplinare di produzione, istituito nel 1989, prevede che possa essere prodotto nelle versioni bianca e rossa: la prima a base integrale di Falanghina, la seconda a base prevalente o di Aglianico o di Primitivo e pertanto, a parità di denominazione, è necessario porre attenzione alle etichette delle varie aziende per scoprire in quale versione è stato prodotto. Concorrono a completare l'uvaggio il Piedirosso e la Barbera ed è prevista anche la versione Riserva.
Spostandosi nell'entroterra verso Est in direzione di Benevento la zona di maggiore interesse è senz'altro quella del Taburno: le zone di Solopaca e di Sant'Agata dei Goti, con l'eccezione di pochi produttori, non ne riescono ad eguagliare la qualità complessiva.
Il Taburno è un antico vulcano spento che sovrasta la città di Benevento e sulle cui fertili pendici la vite è coltivata fin dall'antichità: anche qui il vitigno di maggiore blasone è l'Aglianico e le migliori etichette provengono dai vigneti posti alle quote di altezza maggiori, dove esprimono personalità di maggiore finezza rispetto alle versioni più opulente di altre zone più calde del Meridione italiano.
La denominazione Aglianico del Taburno prevede la presenza di Aglianico per almeno l'85% dell'uvaggio.
Nella zona di Avellino si trova la terza grande zona di elezione dell'Aglianico, la prima ad aver avuto il riconoscimento della DOCG nel 1993. Si tratta di un'ampia zona che si sviluppa intorno al fiume Calore e che vede in Taurasi il comune di maggiore importanza del comprensorio di produzione. Anche in questo caso la legge prevede che l'Aglianico debba essere presente per almeno l'85% ma viene indicata esplicitamente l'esclusione dei fondovalle umidi e non sufficientemente soleggiati. E' consentita la produzione di una versione riserva, che può essere commercializzata dopo una elevazione in cantina di almeno 49 mesi, di cui 18 in botti.
La zona di Avellino non è assurta agli onori della cronaca soltanto per il Taurasi, che per molto tempo è stata l'unica DOCG rossa del sud italiano: il Fiano di Avellino e il Greco di Tufo hanno riscosso lo stesso successo di pubblico e di critica e rappresentano oggi un esempio di cosa si debba fare per emancipare un territorio da una produzione massificata ad una produzione di elevato livello qualitativo, unanimemente stimata.
Il Fiano di Avellino prevede che debba essere prodotto con almeno l'85% di Fiano ma le migliori etichette lo utilizzano integralmente. I migliori vini prodotti con questa varietà sono in grado di evolvere per molti anni manifestando piacevoli sensazioni fruttate nella gioventù e sensazioni speziate e di miele più complesse con il passare degli anni.
Il Greco di Tufo prevede che debba essere prodotto con l'85% di Greco e il 15% di Coda di Volpe. Il Greco è una varietà a bacca bianca di origine greca e si ritiene che il nome accomuni diverse varietà a bacca bianca. Il nome del vino deriva oltre che dal vitigno, anche dal paese di Tufo, il paese più importante del comprensorio di produzione. L'utilizzo della Coda di Volpe è reso necessario dalla particolare delicatezza del Greco, che fiorisce precocemente e ogni anno è esposto ai rischi delle frequenti gelate primaverili.
Il Taurasi è oggi uno dei più importanti vini rossi italiani, apprezzato per una forte struttura che gli assicura un lungo potenziale di invecchiamento e la capacità di sviluppare, negli anni in bottiglia, una maggiore complessità. Il forte colore rosso rubino vira negli anni in tonalità rosso granata e la forte spinta tannica, già ben equilibrata in gioventù nelle migliori espressioni, trova negli anni un maggiore equilibrio con le componenti morbide comunque ben presenti.
Nella Costa d'Amalfi soltanto negli ultimi anni si è riusciti ad ottenere dei vini in grado di competere con l'accresciuto livello degli altri migliori vini italiani. La situazione precedente era penalizzata da una proprietà dei vigneti estremamente parcellizzata e da vigneti che data la natura impervia e la scoscesità delle coste erano stati in gran parte abbandonati. Oggi i migliori vini sono rappresentati dai bianchi e dai rossi provenienti dalla sottozona di Furore, tutti dotati di grande struttura e generalmente impostati sullo stile della surmaturazione.
Il Cilento è un promontorio di basse montagne che si estende nella provincia di Salerno a partire dalle cittadine di Eboli e Battipaglia. La sua agricoltura non è mai stata legata profondamente alla coltura della vite e quindi non si segnala per zone di particolare pregio ma merita la citazione perché alcuni produttori sono riusciti a produrre delle etichette che hanno suscitato una vasta eco anche al di fuori dei confini regionali. Si tratta di vini a base Aglianico, Primitivo e Piedirosso mentre per i bianchi vengono utilizzati prevalentemente uve Fiano.
Puglia
Come testimoniano alcuni scritti dell'epoca romana di Plinio il Vecchio e Tibullo, il vino pugliese era già conosciuto dagli Antichi Romani e veniva esaltato per colore, aroma e sapore.
Con la colonizzazione greca le tecniche di coltivazione ebbero un notevole sviluppo e la Puglia visse un lunghissimo periodo di splendore dal punto di vista vitivinicolo.
Purtroppo nel periodo post-fillossero, all'inizio del '900, la ricostruzione degli impianti e le tecniche di vinificazione erano rivolte ad una produzione concentrata sulla quantità piuttosto che sulla qualità.
La Puglia, finestra sull'Asia e sull'Africa, con il suo clima mediterraneo, caldo, ventilato e scarsamente piovoso (a volte troppo, tanto da costringere a seri provvedimenti), è una delle quattro regioni italiane con la più alta produzione di vino oltre che di uva da tavola. Il suo destino però sembrava essere relegato a grande serbatoio italiano, visto che per molto tempo arricchiva cantine del nord-Italia che necessitavano di vino sfuso apportatore di grado alcolico e colore. Oggi, grazie a coraggiosi produttori che hanno saputo investire ed apportare giusti cambiamenti nelle tecnologie, sia in vigna che in cantina, assistiamo ad un innalzamento della qualità del vino pugliese.
Con l'esaltazione di vitigni autoctoni come il
Primitivo, il
Negroamaro, l'
Uva di Troia, la
Malvasia nera, il
Bombino bianco e il
Bombino nero possiamo assaporare vini di buona levatura frutto di lavoro atto a rivalutare prodotti tipici di questa terra calda, solare e generosa.
Oltre a vitigni internazionali di nuovo impianto, troviamo: nella zona nord
Montepulciano,
Uva di Troia,
Bombino bianco,
Bombino nero; scendendo incontriamo
Bianco d'Alessano e
Verdeca; nella penisola Salentina sono più diffusi
Malvasia nera e
Negroamaro, dal quale si ricava uno dei vini rosati italiani più interessanti.
Il
Primitivo di Manduria ha una caratteristica insita nel nome, è un vitigno fortemente anticipato nella maturazione e quindi si ottiene un vino già pronto quando gli altri stanno ancora vendemmiando. Qualcuno riconduce questo vitigno allo
Zinfandel californiano, ma non è possibile stabilire se in California sono state piantate barbatelle di Primitivo esportate dagli emigranti a fine '800 oppure se ci sia semplicemente una stretta parentela tra i due vitigni (molto morbidi e carichi di colore).
Il vitigno
Negroamaro deve il suo nome per la radice
negro ai monaci benedettini che lo utilizzavano per la notevole concentrazione di colore. Il termine
amaro si deve invece al fatto che in epoche passate la macerazione sulle bucce era molto prolungata e al termine della fermentazione erano state rilasciate molte sostanze amaricanti.
Basilicata Questa regione è molto montuosa e non ha veri e propri vitigni autoctoni, fatta esclusione per la Malvasia di Basilicata, sia in versione a bacca bianca che a bacca rossa. A nord di Potenza c’è la più importante Doc lucana, la AGLIANICO DEL VULTURE (DM del 18/02/1971, GU n.129 del 22/05/1971), dove si usa l’AGLIANICO al 100%, un vitigno molto diffuso anche nelle vicine Puglia e Campania.
|  ©VCR - Aglianico |
 | Si hanno dei vini corposi e longevi, anche grazie ai sedimenti lasciati dal vulcano che sorgeva anticamente nella zona. Negli ultimi anni va sottolineato che da una vitivinicoltura artigianale si è passati a prodotti di qualità, grazie sopratutto ad alcuni produttori quali D’Angelo con il vino Canneto, ottenuto ovviamente con Aglianico in purezza, oppure Paternoster con il Don Anselmo, o Cantina del Notaio con La Firma.
Altra Doc di più recente riconoscimento è la TERRA DELL’ALTA VAL D’AGRI (D.D.4-9-2003, GU n.214 del 15-9-2003), in un'area poco estesa ed ubicata tra Moliterno e Viggiano. Qui la produzione ricorre soprattutto a vitigni internazionali, MERLOT e CABERNET SAUVIGNON, con aggiunta della MALVASIA DI BASILICATA nella versione rosato. |
Calabria
In Calabria la vite e il vino dovrebbero esistere dai tempi degli Antichi Greci che chiamarono la regione con il nome di Enotria, "Terra del vino". I vitigni più importanti sono il GAGLIOPPO, il quale marca la produzione rossa di quasi tutta la regione, ed il GRECO per quel che riguarda i vini bianchi. La DOC più conosciuta è la CIRÒ, con bianchi, rosati e rossi fatti rispettivamente con GRECO e GAGLIOPPO. I metodi di vinificazione del rosso sono antichi e tradizionali e danno vini dall'aspetto maturo a causa dell'uso di uva bianca nella vinificazione in rosso. Sulla strada della qualità e di tecniche più moderne cominciano ad esserci alcuni produttori, ad esempio Librandi con il Gravello ottenuto da uve GAGLIOPPO e CABERNET SAUVIGNON. | 
|
 ©VCR Montonico Bianco | Un'altra DOC di un certo interesse è la GRECO DI BIANCO a sud di Locri dove si produce un vino dolce. La tecnica tradizionale richiedeva un doppio appassimento, il primo in pianta e il secondo sugli scogli in riva al mare con l'acqua marina che disidratava l'acino e dava una forte concentrazione zuccherina.Esistono altri vini dolci passiti fatti con vitigno MANTONICO o MONTONICO BIANCO (Librandi produce il Le Passule passato in barrique, Vintripodi imbottiglia nella pulcianella il Locride). Sono vini da meditazione o da abbinare a pasticceria secca. |
Altre DOC interessanti come
DONNICI e
LAMEZIA sono enfatizzazioni del territorio e danno prodotti di beva comune.
SardegnaNell'estremo nord dell'isola c'è la VERMENTINO DI GALLURA, un'importante DOCG con un grosso
bacino d'utenza che è la Costa Smeralda. Questa DOCG a tutt'oggi costituisce una sorta di linea Maginot
insieme al Taurasi campano rispetto allo strapotere delle denominazioni garantite del nord.
Il vino si ottiene dal VERMENTINO, un vitigno diverso da quello ligure o toscano, ha una forte gradazione
alcolica, una certa morbidezza, e si abbina bene con un piatto particolare, molto saporito, che è la bottarga.
In Sardegna sono riusciti ad organizzarsi per creare delle DOC regionali, ossia denominazioni che
coprono l'intero territorio: CANNONAU DI SARDEGNA, VERMENTINO DI SARDEGNA, MONICA DI
SARDEGNA, MOSCATO DI SARDEGNA, SARDEGNA SEMIDANO.
Oltre al Vermentino in Sardegna è molto diffuso un altro vitigno, il CANNONAU, il quale dà un vino
molto concentrato, denso, che si abbina bene al tipico porcetto sardo. E' un vitigno autoctono che si trova
un po' anche in Toscana, in Corsica e nel Penedès in Catalogna. Nell'isola c'è una grossa produzione
distribuita in tre sottozone: OLIENA o NEPENTE DI OLIENA, JERZU, CAPO FERRATO.
Esiste anche una versione fuori dalle DOC in particolare nella zona di Alghero in versione passito liquoroso:
il vino è l' Anghelu Ruju (Angelo Rosso, come l'insediamento nuragico limitrofo) che è una sorta di Porto
italiano.
Nella DOC ALGHERO si fanno sia il VERMENTINO che il CANNONAU. In questa zona c'è un
grosso produttore di riferimento, Sella & Mosca.
A nord di Alghero c'è la DOC MOSCATO DI SORSO E SENNORI con MOSCATO BIANCO. Qui
c'è una realtà particolare costituita dalle Cantine Sociali che sono state tra le prime cooperative a rivolgersi
ad enologi famosi per migliorare le proprie produzioni (es: Terre Brune, Turriga) e assemblare uve autoctone
con vitigni internazionali.
A sud-ovest si trova la DOC CARIGNANO DEL SULCIS dove si fa vino rosso con il vitigno
CARIGNANO che in Italia si trova solamente in Sardegna (mentre è anche in Corsica e nel Penedès).
In abbinamento alla particolarità del Carignano ci sono anche altri vitigni locali come il BOVALE SARDO
(localmente BOVALEDDU).
Altra DOC dove si produce un vino liquoroso simile al Porto è la GIRO' DI CAGLIARI con vitigno
GIRO' nelle provincie di Cagliari e Oristano.
Il vitigno forse più diffuso nell'isola è il NURAGUS che dà il nome alla DOC NURAGUS DI
CAGLIARI e dà vita ad un bianco abbastanza nella media, così come il NASCO dal quale si ottiene un
bianco secco nella DOC NASCO DI CAGLIARI.
Abbastanza conosciuta è la VERNACCIA DI ORISTANO, una DOC il cui vitigno omonimo viene
lavorato in maniera da conferire al vino determinati sentori ossidati. Questo vino è caldo di alcol e di non
facile abbinamento ma trova la giusta accoppiata con le seadas, un dolce tipico fatto di sfoglia ripiena di
formaggio veretta e riscoperta di miele leggermente amaro (es: acacia).
In provincia di Nuoro c'è una DOC interna che prevede l'uso di vitigni autoctoni come BOVALE
SARDO, CANNONAU e MONICA. Si tratta della MANDROLISAU.
Un vino interessante ma assolutamente difficile da reperire è la MALVASIA DI BOSA ottenuto da
MALVASIA DI SARDEGNA, alcolico e di intensa carica olfattiva, da abbinare con successo ai crostacei.
Sicilia
Una delle quattro regioni italiane con la più alta produzione di vino e, ormai da diversi anni, realtà che prepotentemente sta conquistando l'intero mercato nazionale con prodotti che riescono ad esprimersi ad alti livelli di qualità.
Che questa regione fosse vocata alla coltivazione della vite, lo dimostra anche il ritrovamento di "ampelidi" nella zona di Agrigento e dell'Etna che confermano la presenza della vite selvatica già nell'Era Terziaria.

Ai Fenici si deve l'introduzione del vino nel Mediterraneo, ma è grazie all'arrivo dei Greci, nel VIII sec. a.C. in Sicilia, che qui la cultura enoica ebbe un grande impulso, unitamente alle coltivazioni dell'olivo e del grano.
La produzione di vino, continuò ad essere incentivata dai Romani, nel III sec. a.C., e dopo l'avvento del Cristianesimo dalla Chiesa la quale contribuì ad un ulteriore miglioramento per gli usi religiosi che ne faceva. Con l'invasione musulmana intorno all'800, a causa della proibizione coranica, la vitivinicoltura subì un arresto e venne incrementata solo la produzione di uva da tavola, come lo Zibibbo.
Le successive vicende socio-politiche, portarono ad un'altalenante produzione di vino che registrò un vero e proprio boom nel 1773, con la commercializzazione su larga scala di vini di Marsala ad opera dell'inglese John Woodhouse fino a quando, un secolo dopo, l'avvento della fillossera colpì anche la Sicilia.
Nella prima metà del '900, i forti movimenti migratori, rivolti sia verso le Americhe che al nord Italia, videro l'impoverimento della forza lavoro, ma la creazione delle Cantine sociali riuscì a tirar fuori da uno stato di profonda miseria coloro i quali decisero di rimanere fedeli alla loro terra.
Fino a qualche anno fa la Sicilia produceva una grande quantità di vino da taglio che andava a rinforzare vini francesi un po' scarichi; oggi, grazie a continue ricerche innovative che vogliono valorizzare il territorio siciliano con i suoi vitigni autoctoni come il
Nero d'Avola, il
Frappato, il
Catarratto, l'
Inzolia, ma anche con vitigni internazionali, assistiamo ad una rapida ascesa della qualità dei vini siciliani che sempre più spesso reggono confronti impensabili fino a qualche tempo fa.
La Sicilia, che comunque vanta al suo attivo ben 19 DOC, punta soprattutto sulla qualificazione del marchio aziendale, un esempio tra tutti: il Corvo di Duca di Salaparuta che produce un vino IGT,che gli permette di raccogliere le uve su tutto il territorio siciliano, anche al di fuori delle zone indicate dal disciplinare.
Nel comprensorio di Messina c'è la DOC
Faro dove si produce vino rosso in quantità non elevata utilizzando la famiglia del vitigno
Nerello nelle versioni
Mascalese e
Cappuccio ed i suoi biotipi (cloni). In questa zona c'è una forte insolazione che con la vinificazione si traduce in grossa concentrazione di colore e sostanze, calore alcolico e longevità, e nonostante la ridotta produzione si hanno vini con importanti riconoscimenti (es: FARO Palari).
Andando da oriente ad occidente troviamo
Nero d'Avola e
Frappato (affine al
Gaglioppo che si trova in Calabria) i quali gradualmente prendono il posto del
Nerello.
Scendendo alle pendici dell'Etna, zona dalle origini vitivinicole antichissime, sulla parte che declina verso il mare abbiamo la prima DOC riconosciuta alla Sicilia, la
Etna, con produzione sia di bianco che di rosso. Come sul Vesuvio, anche qui troviamo impianti ad alberello pre-fillossera in quanto la compattezza del terreno non permette a questo parassita di intaccare le radici. Il rosso si produce con le varietà di
Nerello mentre per il bianco si usano vitigni autoctoni come
Carricante e
Catarratto (quest'ultimo copre il 40% della produzione, è il 3° vitigno italiano come diffusione dopo Sangiovese e Trebbiano).
Scendendo verso sud giungiamo nella zona dei moscati: le DOC
Moscato di Noto e
Moscato di Siracusa, entrambe producono poco con il vitigno
Moscato Bianco. La Moscato di Siracusa è stata addirittura a rischio revoca perché è rimasto un solo produttore,
Pupillo, che produce un moscato naturale con surmaturazione in vigna e una versione passita che si chiama
Solacium. A queste due DOC se ne sovrappone una più recente, la
Eloro, nata per controllare una produzione massiccia nel posto più a sud d'Italia. Nella sottozona di
Pachino c'è l'epicentro delle uve da taglio (oltre alla nota produzione di pomodorini) e la realizzazione di una versione rosso riserva con
Nero d'Avola,
Frappato e
Perricone chiamato anche
Pignatello .
Il
Nero d'Avola ha una forte similitudine con il
Syrah (o
Shiraz come lo chiamano gli Australiani), una teoria dice che provenga da Shiraz in Iran, un'altra afferma invece che sia addirittura originario di Siracusa.
La DOCG
Cerasuolo di Vittoria deve la sua denominazione non alla produzione di vino rosato bensì alla realizzazione di un rosso molto carico il cui colore ricorda quello delle ciliegie tipiche di queste parti. I vitigni in uvaggio sono il
NERO D'AVOLA ed il
Frappato e la bontà di questi vini è la facile bevibilità perché non sono eccessivamente tannici né troppo acidi, ma di una certa morbidezza.
Nel centro dell'isola c'è la DOC
Contea di Sclafani, una denominazione spinta da realtà aziendali. Qui risiede un grosso produttore fuori dalla denominazione, Regaleali, che punta su vitigni internazionali: il grande successo è stato ottenuto con il
Cabernet Sauvignon ma soprattutto con lo
Chardonnay che è uno dei migliori d'Italia con una concentrazione ed un corredo aromatico intenso (nel '91 fu addiruttura prodotta una versione con uve colpite da Botrytis).
Stesso discorso si può fare per l'area di Palermo dove non ci sono DOC ma c'è un importantissimo produttore, Duca di Salaparuta, nel comune di Casteldaccia, il quale arriva fino a 10 milioni di bottiglie utilizzando sia vitigni autoctoni che internazionali. Non avendo riferimenti con le DOC può utilizzare uve provenienti da gran parte dell'isola (bianche da ovest, rosse da sud). Il vino più importante dell'azienda è un
Nero d'Avola in purezza, il Duca Enrico, mentre è da citare per i bianchi il Colomba Platino.
Altra realtà legata alla presenza di un grosso produttore è la piccola DOC
Contessa Entellìna, con bianchi ottenuti da
Ansonica,
Catarratto,
Grecanico e rossi da
Calabrese,
Nero d'Avola e
Syrah. Il produttori di riferimento sono Donnafugata e Rapitalà. Il prodotto di maggior pregio di Donnafugata è il Contessa Entellina Chiarandà del Merlo, bianco elegante affinato in barrique, ma altro vino di punta è senza dubbio il Mille e una Notte,
Nero d'Avola in purezza.
Ennesima grande etichetta i cui prodotti fuori dalle DOC sono pluridecorati è Planeta, con vini di punta quali il Santa Cecilia (100%
Nero d'Avola) e il
Merlot. L'azienda ha i suoi siti produttivi in tutte le principali aree vitivinicole del sud dell'isola, da Menfi fino a Noto.